Il grande minimo

Gilbert Keith Chesterton
Il grande minimo

Da Poesie

Traduzione di Giulio Mainardi.
Tutti i diritti riservati.

Metro. Quartine di versi composti ognuno da due ottonari disgiunti. Niente rime; nell’originale ABAB.


THE GREAT MINIMUM

It is something to have wept as we have wept,
It is something to have done as we have done,
It is something to have watched when all men slept,
And seen the stars which never see the sun.

It is something to have smelt the mystic rose,
Although it break and leave the thorny rods,
It is something to have hungered once as those
Must hunger who have ate the bread of gods.

To have seen you and your unforgotten face,
Brave as a blast of trumpets for the fray,
Pure as white lilies in a watery space,
It were something, though you went from me today.

To have known the things that from the weak are furled,
Perilous ancient passions, strange and high;
It is something to be wiser then the world,
It is something to be older then the sky.

In a time of sceptic moths and cynic rusts,
And fattened lives that of their sweetness tire
In a world of flying loves and fading lusts,
It is something to be sure of a desire.

Lo, blessed are our ears for they have heard;
Yea, blessed are our eyes for they have seen:
Let the thunder break on man and beast and bird
And the lightning. It is something to have been.


IL GRANDE MINIMO

È qualcosa avere pianto     come noi abbiamo pianto,
è qualcosa avere fatto     come noi abbiamo fatto,
è qualcosa aver vegliato     quando tutti eran nel sonno,
e le stelle avere visto     che non vedono mai il sole.

È qualcosa aver fiutato     la soave rosa mistica,
sebben essa si frantumi     e ci lasci stecchi e spine,
è qualcosa aver patito     quella fame che patiscono
le persone che han mangiato     della diva mensa il pane.

Ed avere visto te     e il tuo volto mai scordato,
coraggioso come tromba     che deflagra per la pugna,
puro come bianchi gigli     appoggiati in spazio acquoreo,
fu qualcosa, benché oggi     tu mi abbia abbandonato.

Conosciuto aver le cose     che dai deboli son chiuse,
perigliose antiche voglie,     così strane ed elevate;
è qualcosa esser più saggi     dell’enorme vasto mondo,
è qualcosa esser più vecchi     dell’immane eterno cielo.

In un tempo di tignole     non credenti e ruggin ciniche1,
e di vite che ingrassate     della lor dolcezza stancansi
in un mondo d’amor fatui     e di labili lussurie,
è qualcosa essere certi     di un preciso desiderio.

Ecco, sono i nostri orecchi     benedetti ché hanno udito2;
e sì, sono i nostri occhi     benedetti ché hanno visto:
scoppin pure il tuono sopra     uomo e bestia e uccello in cielo
e la folgore fulgente.     È qualcosa essere stati.


1 – La coppia tignole e ruggini è un riferimento evangelico (Matteo 6,19): «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano […]».
2 – Riprende Matteo 13,16: «Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono».